Luigi Boscolo lunedì 12 gennaio 2015 ci ha lasciato. Addolorati perdiamo un grande maestro del pensiero sistemico e della terapia familiare.
Al primo impatto appariva pacato, saggio, formale ma ben presto ti rendevi conto dello spessore della persona, lo sentivi vicino emotivamente, in modo non eclatante, quasi privato. Ci ritorna in mente il suo sorriso sotto i baffi, saggio e un po’ canzonatorio, caldo, intrigante proprio perché da decifrare. Come scordare la sua passione per la clinica, per le situazioni complicate oltre che complesse, lo sguardo ammirato per le soluzioni che gli utenti trovavano, l’orgoglio nel raccontare gli esiti di un intervento. Ciascuno di noi due ha ricordi molto personali sia delle terapie fatte con Lui che di serate passate a raccontare aneddoti e storie di vita, una dopo l’altra senza interruzione, accompagnate dal suo sguardo accettante, da buon cibo e da un vinello verace.
Ci ha fatto scoprire le emozioni, l’uso del linguaggio, delle metafore, delle parole chiave. Ci ha insegnato l’uso terapeutico della parola. Appassionava con le storie che raccontava ad ogni occasione. Narratore instancabile di notevole spessore culturale, trasformava quelli che potevano sembrare aneddoti in vere e proprie immagini, capaci di aprire le menti di allievi e pazienti. Offriva un riferimento e una connessione con quello che la famiglia, gli allievi portavano, una connessione densa, coerente, fonte di apprendimento, di successive riflessioni. Condivideva aneddoti che toccavano emotivamente e permettevano al soggetto di sentirsi parte in causa, di identificarsi. Non a caso è stato, tra i maestri, colui che più di altri ha legittimato la propensione in terapia all’uso sofisticato del linguaggio, delle metafore, delle parole chiave.
Abile ascoltatore, a volte sembrava estraniarsi: usava dire che utilizzava quei momenti per riflettere sulla relazione tra sé e il sistema con cui stava lavorando, che si accontentava di ascoltare i toni, il succedersi delle voci ma non le parole. Attraverso le domande circolari sosteneva di legare le persone le une alle altre e tutti e sé in modo empatico, creando sintonia. Aveva inoltre delle incredibili intuizioni sui contesti; intuizioni che emergevano dal ragionamento che faceva durante il processo, mentre lavorava in una maniera quasi umile, senza vantarsi mai.
In seduta, sia col portamento che con le parole, dava una sensazione di autorevolezza e di grossa solidità. Appariva una persona capace di connettersi e di comprendere e reggere qualsiasi problema venisse affrontato. Solido e delicato allo stesso tempo, con la sua voce profonda, quasi ipnotica, era capace di accogliere, condurre e raggiungere il piano emotivo; si emozionava lui stesso spesso: raccontava di avere le lacrime facili anche in seduta. Dava un senso di sicurezza anche per l’attenzione che prestava alle sfumature delle parole. Uditivo, ritmava i gesti in maniera lenta, sembrava ponderare ogni commento e sottolinearlo con l’uso del corpo, per questo i suoi commenti acquisivano un notevole peso specifico. Rispettoso, attento, sosteneva di aver imparato dai primi allievi ad allentare la postura psicoanalitica e a mostrare maggiore trasparenza rispetto alle proprie emozioni. Sarà proprio la sua matrice psicoanalitica a portarlo di nuovo ad occuparsi dell’individuo in termini sistemici, ad aprire la scatola nera e a iniziare quel filone della terapia individuale sistemica che ci vede tutti attualmente molto coinvolti.
Laureato in psichiatria a Padova si è specializzato e ha fatto pratica negli Stati Uniti. Tornato a Milano rivoluzionò la terapia relazionale assieme a Gianfranco Cecchin, Giuliana Prata e Mara Selvini Palazzoli, fondando il Centro Milanese di Terapia della Famiglia, alias via Leopardi, come è ancora conosciuto. Non a caso nelle suddivisioni tra i diversi modelli fu Lynn Hoffman stessa a chiamare il gruppo di Milano “sistemico” in quanto quello più coerente con le idee di Bateson, alla ricerca di una prassi che mai semplificasse la complessità che i sistemi portavano. Nel 1976 insieme a Cecchin cominciò ad occuparsi di formazione, riconoscendo subito agli allievi il merito di aver tradotto le tecniche appena inventate nel contesto privato per adattarle ai Servizi pubblici: oltre alle tre linee guida del gruppo – ipotizzazione, circolarità, neutralità – si approfondirono in quegli anni l’ingaggio, l’attenzione all’inviante, le visite domiciliari. Agli studenti fu anche dato il merito di aver contribuito ad alfabetizzarli sui diversi contesti in cui intervenire in maniera alternativa alla psicoterapia: la scuola, i Consultori, i Servizi, le Istituzioni, in una specificazione sempre più puntuale del Milan Approach, come veniva definito all’estero. Siamo in molti a ricordarci le prime supervisioni che i due fecero nelle Istituzioni – invitati dagli allievi – in cui si applicarono a riconoscere queste realtà e ad adattarvisi, trasformando il pensiero e mantenendolo sempre vivo, in svolgimento. Negli anni ottanta equipe di tutto il mondo hanno fondato i Post Milan Teams in cui si rifletteva insieme su quanto appreso a Milano e si sperimentava con prassi nuove rispetto a situazioni difficili. Molti dei gruppi esteri conosciuti oggigiorno sono partiti dagli insegnamenti di Milano per poi fondare il proprio modello specifico. Non possiamo neppure tacere i primi residenziali a Mont Isola, incontri che radunavano professionisti italiani e stranieri che insieme discutevano tutta la giornata per scatenarsi la sera in danze e chitarrate. Di nuovo si lavorava sui contributi degli allievi, con una totale fiducia in loro ed un totale riconoscimento dell’arricchimento che ciascun allievo in formazione poteva apportare, nella convinzione che le Istituzioni fossero brave maestre. Ci ricorderemo per sempre le danze fino alle ore piccole, con Luigi che partecipava assieme alla sua adorata Jackie.
La coppia Boscolo e Cecchin era complementare. Anche quando ciascuno dei due andava per la sua strada, il loro dialogo permetteva di integrare i discorsi che i due facevano, verso una visione unitaria e coesa del modello. Il Bar Virgilio è stato il punto d’incontro con personaggi storici della clinica e della filosofia della scienza, è lì che ci radunavamo dopo il lavoro insieme a personaggi quali Varela, von Foerster, Maturana, Jay Haley, Moni Elkaim, Lynn Hoffman e Peggy Penn; dove il figlio Guido traduceva per chi ne aveva bisogno. Li abbiamo incontrati sia in Italia che all’estero e in ogni seminario e convegno mostravano questa complementarietà al servizio di interventi che risultavano nuovi, insoliti, capaci di ristrutturare e stupire. Le caratteristiche individuali di ciascuno permettevano di far emergere interventi semplici ma potenti, di grande impatto emotivo e sottigliezza psichica e relazionale. I due insegnavano inizialmente soprattutto un’epistemologia: come leggere ed intervenire sulla realtà e di nuovo hanno permesso agli allievi di introdurre le tecniche e di aprire ad altri livelli di intervento. Una coppia perfetta per una complementare simmetria.
Luigi ha affascinato tutti con le storie e i racconti, era questo il suo modo di sistematizzare, raccogliere le idee e connetterle tra loro. Cosa abbiamo imparato da Lui? L’ascolto attivo, l’individuazione sottile delle emozioni, il rispetto per il tempo; il potere di stupirsi, la sua capacità di ridare la responsabilità agli altri senza cadere mai nella trappola di “spiegare” o “insegnare”; la capacità di leggere tra le righe, di fare connessioni azzardate, l’interesse per l’individuo, la capacità di muovermi liberamente. Durante i suoi corsi si respirava un’aria di internazionalità, durante il racconto delle sue storie familiarità e calore.
La scuola continua con allievi e didatti grati che portano avanti la tradizione dei training e non solo: nuovi contributi e spunti di riflessione si basano su quanto scritto dai maestri e si proiettano già nel futuro.
GRAZIE LUIGI!
Lia Mastropaolo e Umberta Telfener
BIBLIOGRAFIA DI LUIGI BOSCOLO:
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