Gli psicologi e gli psichiatri, gli operatori socio-sanitari monitorizzano costantemente la relazione tra l’individuo e il mondo, al fine di risolvere problemi e intervenire nel sociale; si occupano cioé dei problemi collegati alla conoscenza: di sé, degli altri e di ciò che circonda ognuno di noi. Per questo, come psicologa rappresentante del modello sistemico-costruttivista – modello che si riconosce nel pensiero debole – vorrei intervenire nel dibattito su neo-realismo e post modernismo proposto dal quotidiano La Repubblica alla fine di agosto 2011 e in particolare l’8, il 19 e il 26 (iniziato l’8 col manifesto di Maurizio Ferraris sul New Realism, il nuovo realismo filosofico a favore della concretezza delal realtà, seguono gli interventi di Gianni Vattimo, Paolo Legrenzi, Petar Bojanic, allievo di Derrida, Pier Aldo Rovatti, Paolo Flores, Umberto Eco ed altri).
I differenti interventi sembravano pendere per il ritorno al realismo, accusando il post modernismo 1. di eccedere nell’interpretazione, 2. di non essere in contatto con due tradizioni di ricerca molto attuali, l’evoluzionismo e lo studio del cervello, 3. di mancare di un atteggiamento etico.
Rispetto a questo vorrei specificare due questioni: quella legata alla complementarietà tra le posizioni rispetto al sapere e la questione etica, inevitabilmente e indissolubilmente connessa alla posizione post moderna. Il rapporto con l’evoluzionismo lo tratterà il collega Maurizio Ceccarelli.
1. Se vogliamo costruire un campo da tennis o prendere un treno dobbiamo rifarci ad un mondo fatto di misure e dati oggettivi. Se invece riferiamo un giudizio o un evento, la nostra soggettività sarà imperante e la narrazione sarà strettamente influenzata dal contesto, dalle relazioni in cui siamo coinvolti, dalle interpretazioni soggettive, dalle premesse (spesso tacite) che organizzano noi stessi e la cultura che ci incarna. Queste posizioni rispetto al mondo e al sapere, rispetto alla conoscenza, questi atteggiamenti, e le vie intermedie tra i due estremi, DEVONO coesistere e offrire modi complementari di pensare, osservare e interagire col mondo. Ognuna delle due modalità rappresenta e definisce l’altra. La fisica e le cosidette scienze dure (biologia, chimica…) hanno a che fare con problemi che si possono suddividere sempre più fino a ridurli ad unità semplici e facili da affrontare; le scienze cosidette morbide (sociologia, antropologia, psicologia…) hanno a che fare con problemi complessi che non sono riducibili a forme più semplici. Non è utile scegliere uno o l’altro approccio alla conoscenza, ambedue le logiche sono indispensabili e vanno affiancate, per acquisire una profondità di campo rispetto al rapporto col mondo, quindi al nostro vivere. Così scienza (che viene da ski, divido) e sistemica (che viene da sun, metto insieme) sono due modelli complementari per osservare il mondo e per rapportarsi ad esso. Si tratta di due ottiche diverse ma non incommensurabili che ci forzano a mettere in atto operazioni diverse e a far emergere dati diversi. Le due modalità affiancate permettono una profondità di campo maggiore e la scelta di fedeltà ad un modello oppure all’altro è contestuale e soggettiva. Non è necessario scegliere: neo-realismo e post modernismo possono coabitare.
2. Se pensiamo che la realtà sia oggettiva il soggetto si pone inesorabilmente esterno al mondo e ciò che è giusto e ciò che è sbagliato così come il concetto di verità diventano degli a-priori. In questo caso l’etica si confonde con la disposizione a fare le azioni giuste (tu devi, io devo) e con il giudizio morale: esistono un bene e un male, un giusto e uno sbagliato e sono fuori di noi, oggettivi.
Se chiedo se un qualsiasi numero è divisibile per un altro (24.365.690, per esempio, è divisibile per 5? ), la risposta sarà determinata dal sistema matematico culturalmente imperante nel contesto in cui vivo, nel nostro caso dal sistema binario della matematica che ci insegnano a scuola (Certo che si! Tutti i numeri che finiscono per 0 o per 5 sono divisibili per 5). Se chiedo se esiste dio o come è nato il mondo, la risposta sarà determinata dalle credenze che chi risponde possiede. Alcune domande non ci offrono alcuna scelta in quanto la risposta è contenuta nel modello di riferimento che non possiamo che adottare; altre invece ci lasciano la possibilità di scelta, a patto che siamo consapevoli che ci troviamo di fronte a questioni indeterminabili e proposizioni indecidibili in quanto non esiste una risposta univoca né una soluzione giusta/sbagliata. Rispetto a molte questioni non ci sono opinioni vere e univoche, non siamo osservatori indipendenti di un mondo fuori di noi ma diventiamo parte dell’universo che ci include, siamo attori e partecipanti delle relazioni che definiscono ciò che accade. Nel caso dell’inter-dipendenza ci troviamo confrontati con questioni indecidibili e inconoscibili e agendo nel qui e ora (assumendo una posizione soggettiva) non solo cambiamo noi stessi ma influenziamo anche l’universo. La posizione costruttivista, post modernista, il pensiero debole legano il soggetto e le sue azioni in maniera indissolubile a tutti gli altri (la/le comunità nelle quali si è inseriti) e stabiliscono un pre-requisito per fondare un’etica, che diventa la necessità di scegliere rispetto a decisioni che sono per principio indecidibili, come sempre ci ha ricordato Heinz von Foerster. Proprio perché sono consapevole di scegliere soggettivamente e che la “verità” emerge dal consenso nella cultura della comunità che abito, è importante che mi senta responsabile del punto di vista che farò emergere, della posizione che scelgo, della versione che propongo e che assuma le conseguenze delle mie scelte. Mi dovrò cioè chiedere: “in che modo la modalità in cui penso e vedo il mondo, le scelte che ho fatto, le lenti che utilizzo hanno un effetto su ciò che credo, sul modo in cui vivo e su quel che scelgo di fare? Quali sono i limiti del mio pensiero e come questi limiti organizzano l’agire, mio e influenzano gli altri? In quale contesto ecologico le mie griglie sono utili/appropriate/dannose? L’etica in questo caso è incarnata nel pensiero debole e nel costruttivismo mentre il concetto di verità come soluzione univoca e a priori è utile a chi non ha voglia di assumersi la responsabilità dell’interdipendenza tra premesse e azioni, tra persone e idee e tra soggetti in interazione.
Desidero concludere questo breve stimolo citando solamente l’imperativo etico di Heinz von Foerster, epistemologo post moderno di fama mondiale: “Agisci sempre in modo da aumentare il numero totale delle scelte tue e altrui”.