La mattina del 12 luglio è mancato a settantatré anni – dopo anni di faticosa gestione del suo alzeimer – Peter Lang (classe del ‘43), rappresentante autorevole del modello sistemico, che insieme alla moglie Susan nel 1980 aveva fondato il City Center in Kensington a Londra, divenuto poi nel 1985, con l’arrivo del collega Martin Liddle, il Kensington Consultatuion Center sulla riva sud del Tamigi. Un consultorio pubblico cui affluivano persone di ogni razza e provenienza e dove gli operatori ricevevano una formazione ed una supervisione all’avanguardia perché paritaria, partecipata ed orizzontale; un centro nevralgico per chi si riconosceva nel pensiero sistemico costruzionista. Peter – formatosi anche a Milano con Boscolo e Cecchin – oltre a fare clinica e consulenza ai manager (soprattutto Scandinavia e nord Europa), oltre a insegnare e teorizzare con passione, ha partecipato attivamente alla nascita della rivista Human Systems, the journal of systemic consultation and management in collaborazione con il Leeds Family Therapy & Research Center.
Convinto sostenitore della co-costruzione dell’esperienza attraverso la coordinazione delle azioni nelle relazioni, Peter ha fatto suoi i concetti di Maturana (1985) dei domini dell’estetica, della produzione e delle spiegazioni. Secondo lui viviamo simultaneamente in domini diversi: quello della produzione, in cui consideriamo il mondo in termini oggettivi e ci comportiamo in base alla nostra comprensione di questa oggettività. Il dominio delle spiegazioni, quello in cui nascono le domande e ci rendiamo conto che ci sono molte versioni della stessa realtà partecipando ad un multiverso che emerge dall’interazione tra tutti i soggetti coinvolti. Il dominio dell’estetica che si riferisce alle emozioni nel processo del vivere insieme in maniera coerente, partecipata e dialogica. E’ stato certamente tra coloro che hanno abbandonato l’attenzione ai sistemi sociali (famiglie, individui) per concentrarla sui sistemi linguistici, dando sempre più attenzione al genere, alla razza, all’etnia, alla religione e a quelle dimensioni che entrano pesantemente anche se tacitamente nella costruzione delle narrazioni condivise. Attualmente, malgrado la malattia, stava ragionando sulla necessità di sensibilizzare i politici britannici rispetto alla responsabilità nei riguardi di ciò che fanno accadere, attraverso le loro azioni e le loro parole; cercava un modo per coinvolgerli nell’indagare i significati anche morali dei loro comportamenti e delle loro scelte.
Negli anni ’90 per due anni ho svolto la funzione di esaminatore esterno ai diplomi di specializzazione del KCC e lì ho avuto l’occasione di conoscere bene Peter e di incontrare molti rappresentanti dei post milan teams1 provenienti da ogni parte d’Europa. Ho anche conosciuto al KCC pensatori come Kenneth e Mary Gergen, Vernon Cronen, Barnet Pearce, Jakko Seikkula, John Shotter e tanti altri sistemici, studiosi significativi al mondo anglosassone. Nel 2010 Peter aveva organizzato un grande incontro dialogico a Canterbury per il 21esimo anniversario della rivista, dando in quell’occasione la triste notizia che il KCC avrebbe chiuso entro breve. Negli ultimi anni, per sostenerlo, su Linkedin si era formato un gruppo Friends of KCC, un forum aperto di amici, studenti, terapisti, tutor, manager, consulenti … in tutto più di 450 membri. Così era stata organizzata virtualmente a Copenhagen la Peter Lang Foundation 2013 per mantenere un pensiero condiviso, promuovere iniziative e discussioni collegiali che lo rappresentassero, con archivi consultabili online (www.peterlangfoundation.comm). Nel marzo 2015 gli era anche stato conferito un dottorato ad honorem (Doctorate of Science) dall’Università di Bedfordshire in Inghilterra.
Chi lo ha conosciuto apprezzava la sua attenzione agli altri, la sua consapevolezza del miracolo del vivere e la ferma convinzione nella costante possibilità di costruire interazioni evolutive piene di potenzialità. Arrivederci Peter, grazie per il tuo senso dell’umorismo e per il tuo amore per la vita. Grazie per ciò che hai condiviso con noi!!
Umberta Telfener, didatta del Centro milanese di terapia della famiglia, 12.07.2016
1 I post milan teams sono gruppi di operatori che lavoravano insieme come equipe per mettere in piedi un processo riflessivo. Tutti formatisi alla scuola di Boscolo e Cecchin negli anni ’80, hanno poi sperimentato e proposto percorsi originali che partivano da un’esperienza e da un’epistemologia comune. Tra i più attivi ci sono stati il Gruppo irlandese Imelda McCarthy, Nollaig Byrne e Philip Kearney; il Gruppo norvegese formato da Mia Anderson, Ernst Salamon e Klas Grevelius; Peter Lang, Martin Liddle e Elsbeth McAdam al KCC; David Campbell, Bebe Speed, Ros Draper a Londra; Elsa Jonese il suo team nel Galles; Helga Hanks e Peter Stratton a Leeds; John Burnham a Birmingham; Patrick Sweeney in Irlanda; Eia Asen al Malborough Family Unit di London est; Karl Tomm a Calgary, Canada; Eduardo Villar in Colombia; Monica McGoldrick e il Multicultural Institute del New Jersey; il gruppo dell’Ackerman di New York, Peggy Penn con Lynn Hoffman e colleghi; il norvegese Tom Andersen che ha, per esempio, proposto il “reflecting team” e ha spinto ad aumentare la trasparenza in terapia.